Il Birrificio Pontino ha scelto di mettere le sue birre anche sugli scaffali di alcuni supermercati del cibo e del bere. In particolare su quelli di Eataly Roma e di alcuni punti vendita di Carrefour della nostra regione. Qualcuno ci chiama per complimentarsi, altri per avvisarci che le nostre birre sono su quegli scaffali comunicandoci prezzi e curiosità. Nel mare magnum di commenti, anche coloro che mal digeriscono l’associazione birra artigianale – grande distribuzione organizzata. Insomma, un fiume di opinioni e pensieri che abbiamo deciso di voler indagare e approfondire. L’argomento, infatti, ci interessa: sia da produttori che da consumatori. E così abbiamo deciso di non mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, ma cercare di capire e creare un momento di incontro e confronto con voi: consumatori, produttori, appassionati, lettori, giornalisti, blogger.

L’obiettivo è quello di affrontare da diversi punti di vista un tema tanto chiacchierato e commentato, quanto delicato e spinoso da affrontare. Sia ben chiaro, qui non cerchiamo di affermare ragioni, che siano le nostre o le vostre, ma di allargare un confronto, reale e condiviso. Del resto non siamo una multinazionale che cerca di imporre le scelte dei consumatori, ma un birrificio, un piccolo birrificio nato nella pianura pontina, che cerca di dar vita a una birra, che abbia un particolare stile e un profilo ben pronunciato: il nostro.

Partiamo da una chiara e sintetica considerazione. Abbiamo iniziato a produrre birra artigianale perché volevamo dar vita a qualcosa di nostro e strettamente legato al territorio che viviamo. Per continuare a farlo è necessario vendere. E per vendere pensiamo di dover raggiungere un numero di clienti potenziali molto alto. Anche perché, come spiegava Terzaghi di AssoBirra già nel giugno dello scorso anno, «se tu produci 200 ettolitri e sei anche bravo, riuscendo a venderla a 5-6 euro al litro, con un fatturato di 100-120 mila euro annui non paghi neanche l’ammortamento dell’investimento iniziale, considerando che questo ammonta almeno a 200 mila euro». Tanto per dare dei numeri.

Il dibattito potrebbe partire già dalla denominazione: artigianale o non artigianale? Secondo Teo Musso: «L’ultima multa che ho preso, da 6 mila euro, è per aver scritto birra naturale sull’etichetta – ha spiegato. Perché in Italia, dopo la parola birra si può scrivere soltanto analcolica, leggera, normale, speciale o doppio malto. Ho sottoposto più volte a chi di competenza il problema che c’è nella legislazione in materia. Eppure ci vorrebbe poco ad individuare chiaramente chi può produrre birra artigianale». Poi Musso ha lanciato l’idea di un marchio nuovo: «Vorrei che si chiamasse “birra viva”: un messaggio facilmente comprensibile per un prodotto italiano, non pastorizzato, non microfiltrato. Diverso da quei cadaveri che si trovano in bottiglia».

Quella della denominazione è sicuramente questione interessante e che secondo noi è strettamente connessa al tema del post ma, almeno per ora, meglio tralasciare, con la promessa che verrà affrontata in futuro. Torniamo quindi al nostro dibattito: birre artigianali e GDO (Grande Distribuzione Organizzata) , provando a tracciare in modo sintetico alcuni punti positivi e altri meno.

Produzione. Per quanto ci riguarda, la nostra produzione resta sempre la stessa. Sia se venduta alla GDO, sia ad altri, proponiamo sempre lo stesso prodotto, nome ed etichetta compresa.

Prezzo. Il prezzo per il consumatore finale che acquista al supermercato è leggermente più basso. Un vantaggio per il cliente e per noi, che come strategia commerciale abbiamo scelto di vederci garantiti gli acquisti per un numero preciso di mesi. Una base da cui partire che ci da anche la possibilità di programmare e soprattutto di sperimentare. Per sperimentazione intendiamo provare a brassare nuove birre e nuovi prodotti. Tutto questo naturalmente ha un costo che noi dobbiamo affrontare e calcolare. Dedicare una parte della nostra produzione per la GDO, per ora, ci garantisce la possibilità di programmare meglio. Riteniamo, infatti, commercialmente utile poter allargare i nostri canali di distribuzione in questo senso. In un anno noi siamo in grado di produrre X litri di birra che può variare, con l’impianto attuale, solo se ad aumentare è un numero Y di cotte, mantenendo quindi invariato l’utilizzo di prodotti che per noi ormai si associano al gusto delle nostre birre. Il processo produttivo e l’utilizzo delle materie prime non cambia. Altra domanda che sembra ricorrere quando si parla di prezzi e GDO: la GDO può servire a calmierare i prezzi?

Conservazione/trasporto. Ovvero, esposizione alla luce, temperature, etc. Questa è forse la critica maggiore a essere sollevata quando si parla di birre artigianali che approdano sulla GDO. Il punto critico qui è rappresentato dalla capacità di un singolo birrificio di poter gestire determinate procedure. Ma siamo onesti, da soli non ce la potremmo mai fare a controllare i sistemi di trasporto e conservazione delle nostre birre. Fidandoci, in questo senso, del committente. Ma poniamoci una domanda: siamo sicuri che i vari beershop, pub e/o punti vendita dedicati siano in grado di gestire bene la conservazione? Noi ci affidiamo ad un distributore, che ci da garanzia sul trasporto e sulla qualità del pub dove la nostra birra arriva. Lo facciamo sulla fiducia e recandoci personalmente nei singoli pub dove la nostra birra viene venduta per valutare insieme lo ‘stato dei lavori’. Tempo che noi dedichiamo. Tempo che rappresenta costi. Ma questa è la nostra scelta e così abbiamo deciso di lavorare. Poi accade che un locale si lamenti perché alcune birre non vanno in termini di spillatura e gusto. Tu gli chiedi se hanno rispettato procedure e indicazioni ampiamente fornitegli. E poi ti portano dove tengono i fusti, che non è più il luogo che ti avevano mostrato all’inizio. Stesso posto per inverno ed estate, ovvero temperatura perfetta per i mesi freddi, oltre i 35 gradi nei mesi estivi. Allora provi a parlargli, a spiegare. Così ti confessano che non hanno la possibilità economica per attrezzarsi per due locali di conservazione dei fusti. E allora in quel caso che si fa? Noi abbiamo deciso di non vendergli più la nostra birra. Una scelta non facile per un birrificio che vuole affermarsi anche sul proprio territorio. Ma se il pub non ci garantisce certi standard, meglio evitare. Di fondo, però, questo apre ad un altro capitolo che andrebbe discusso: la consapevolezza del consumatore. Ma torniamo a noi: qualcuno sostiene che chi vende ai pub/beershop e anche alla GDO vuol tenere il piede in due scarpe. Forse è questo il nodo cruciale per molti di voi. Aiutateci a capire.

Vi chiediamo di commentare, di scriverci ed esprimere la vostra opinione. Lo potete fare di seguito al post aggiungendo i due hashtag #birraartigianale #GDO